Cinquanta anni fa, il 9 ottobre 1972, moriva a Roma all’età di 72 anni Giuseppe Capogrossi, l’artista che insieme a Lucio Fontana e Alberto Burri è considerato il padre della pittura informale e di tutta l’arte italiana della seconda metà del Novecento. Per ricordare questo importante anniversario la Fondazione a lui dedicata ha coinvolto venticinque tra i musei e le istituzioni pubbliche e private che possiedono nelle proprie raccolte almeno una delle sue opere dando vita a Capogrossi. Il segno nei musei e nelle istituzioni italiane, un progetto che nel mese di ottobre 2022 ne celebrerà la figura con una mostra diffusa e una serie di iniziative su tutto il territorio nazionale.

A dare avvio a questo programma di eventi è non a caso il museo che custodisce il nucleo più cospicuo di opere dell’artista, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, che ospita fino al 6 novembre prossimo Capogrossi. Dietro le quinte, una nuova mostra curata da Francesca Romana Morelli e realizzata in collaborazione con la Fondazione Archivio Capogrossi.
Inaugurata lo scorso 20 settembre, la mostra ha una programmazione più breve rispetto al calendario abituale della Galleria: attenzione quindi a non lasciarsela scappare, perché è di quelle da non perdere.

Superficie 106 (1954) e Dietro le quinte (1938 circa), in queste immagini traguardati dai portali dell’ampliamento della Galleria Nazionale realizzato nel 1933 da Giuseppe Bazzani, sono le opere di Giuseppe Capogrossi che fanno da sfondo ai due assi principali del percorso di visita e da ancora visiva che collega l’esposizione agli altri spazi del museo.

Dietro le quinte – il titolo della mostra riprende quello di un’opera enigmatica dipinta intorno al 1838 e collocata in uno dei focus visivi del percorso di visita – riporta a Roma l’arte di Capogrossi dopo oltre venti anni. A essere esposti sono circa trenta dipinti e venti opere su carta provenienti, oltre che dalle collezioni della Galleria, dalla Fondazione Archivio Capogrossi e da altre collezioni private.

Giuseppe Capogrossi, Ritratto muliebre (1932) e Superficie 603 (1951).

Caratteristica della mostra è la scelta di non seguire un ordine cronologico, ma di esporre le opere figurative e quelle informali di Capogrossi le une accanto alle altre.
Ci piace pensare che la curatrice Francesca Romana Morelli, co-autrice del catalogo ragionato dell’opera dell’artista, abbia voluto fare suo quel tema che la Galleria Nazionale sviluppa da anni sotto la direzione di Cristiana Collu: proprio come accade in Time is Out of Joint – l’attuale allestimento delle collezioni – si è voluto infatti lasciare alle opere la libertà di intessere tra loro relazioni formali, cromatiche o di soggetto senza imporre loro un ordine predeterminato, e al visitatore la possibilità di scoprirle, ricongiungerle e interpretarle.

La mostra è un excursus che intende stabilire un serrato dialogo tra la prima stagione pittorica dell’artista, culminata nel periodo tonale, con la fase successiva, in cui le opere funzionano come le tessere di un puzzle, che una volta incastrate tra di loro, senza seguire un ordine cronologico, ma piuttosto assonanze nella struttura compositiva, rendono visibile l’autentica fisionomia saturnina dell’artista, che fin dagli anni trenta,  filtra la sua pittura con una logica e un rigore mentale, mostrando di essere sempre in ascolto di sé stesso e in costante osservazione del mondo esterno, rimanendo fuori da rotte consolidate.

Francesca Romana Morelli, Curatrice

Nella sala che introduce alla mostra l’evoluzione della pittura dell’artista – che a metà del secolo scorso e a cinquant’anni interrompe la propria produzione figurativa – è rappresentata in modo emblematico da un’intera parete ricoperta di opere su carta che, scendendo dall’alto verso il basso, da figurative divengono astratte, partendo da una sequenza di nudi femminili, prima torniti e colorati e poi scarniti dal vuoto dello spazio che li circonda, fino a definire l’inconfondibile segno di Capogrossi.

Dopo la stesura del catalogo ragionato dell’opera figurativa di Capogrossi, realizzato con Guglielmo Capogrossi nella volontà di gettare delle fondamenta solide su cui innestare la produzione del pittore dalla fine degli anni cinquanta, quando giunge alla conquista del <segno> iconico, apparentemente enigmatico, mi sono resa conto come l’artista rechi già nel suo bagaglio pittorico gli strumenti e le scelte operative di fondo, messi a punto col lavoro compiuto nei tre decenni precedenti.

Francesca Romana Morelli, Curatrice

Accostare i dipinti tonali a quelli segnici, come avviene nelle altre sale, permette di riconoscere la coerenza di Capogrossi – che nel passaggio dai primi ai secondi non rinnega trent’anni di produzione artistica ma giunge, sia pure in modo repentino, allo stadio successivo della propria personale evoluzione – e ne propone una lettura differente, più ricca di quella che sarebbe possibile ricavare dalle due tipologie di opere analizzate singolarmente.

Fin da principio infatti ho cercato di non contentarmi dell’apparenza della natura; ho sempre pensato che lo spazio è una realtà interna alla nostra coscienza, e mi sono proposto di definirlo. Al principio ho usato immagini naturali, paragoni o affinità derivate dal mondo visibile; poi ho cercato di esprimere direttamente il senso dello spazio che era dentro di me e che realizzavo compiendo gli atti di ogni giorno.

Giuseppe Capogrossi

Cuore della mostra è il grande volume della sala per le esposizioni temporanee posto all’estremità occidentale della Galleria Nazionale. Qui sono raccolte le opere più grandi, compresa una serie di Superfici imponenti e Astratto, il grande arazzo del 1963 ideato per la Turbonave Michelangelo; quest’ultimo si impossessa anche fisicamente dello spazio suggerendo al visitatore continui rimandi formali e cromatici con i lavori che lo circondano; molti di questi tornano visibili al pubblico dopo essere rimasti nei depositi o nelle collezioni di appartenenza per decine di anni.

Se nei dipinti tonali riecheggia l’esperienza di Capogrossi nella jeune École de Rome, in quello che è quasi un doppio autoritratto si rispecchia la forte amicizia – un vero e proprio sodalizio – che lo lega a Emanuele Cavalli, artista a cui proprio la Galleria Nazionale ha da poco dedicato una bella mostra curata da Manuel Carrera.

Giuseppe Capogrossi, Autoritratto con Emanuele Cavalli (1927 circa), e Paesaggio invernale (1935), dipinto dalla terrazza della palazzina in Via Pompeo Magno, nel quartiere Prati, dove l’artista aveva il suo studio.

Altre opere preziose sono esposte nelle sale minori che corrispondono, al livello inferiore, agli spazi del Soppalco Gramsci; qui, dal 30 settembre, sono ospitate altre due mostre dedicate rispettivamente a Carlo Montarsolo e alla collezione Brandi Ruiu.
La Galleria Nazionale è fatta così: non è solo la collezione permanente a essere allestita come se fosse una mostra, ma sono anche le diverse esposizioni temporanee a non svolgersi in luoghi fisicamente separati; preferiscono invece mescolarsi, percorse e attraversate dal visitatore, agli spazi in cui si trovano altri autori e altri racconti.

Nelle due sale più piccole sono raccolte tre variazioni sul formato ovale e tre dei rilievi bianchi ideati da Capogrossi negli anni sessanta, esempi della sua inesauribile volontà di sperimentazione. Ragioni di sicurezza non hanno purtroppo permesso di accostare ai rilievi alcuni dei gioielli disegnati dall’artista in collaborazione con Massimo Fumanti, esemplari unici che, messi a confronto con le opere alle quali Capogrossi si è ispirato, farebbero emergere aspetti meno noti del suo linguaggio espressivo. Ne troveremo un accenno nel catalogo della mostra, di prossima pubblicazione.

Giuseppe Capogrossi, Superficie 188 (1957) e Superficie 603 (1951).

Si è poi scelto – felicemente – di non integrare nel progetto tre delle opere di Capogrossi che sono già parte di Time is Out of Joint e che sono rimaste nella propria collocazione abituale all’interno del museo: il visitatore le ritroverà quindi nelle altre sale, ben visibili e d’impatto quelle segniche e forse più difficile da riconoscere il Temporale, come se fossero il prequel – o il sequel – della propria esperienza di visita, attivando nuovi rimandi da una mostra all’altra.

Giuseppe Capogrossi, Superficie 512 (1963), esposta alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea nel settore 0.3.

Nell’ultima sala una serie di ritratti fotografici, raccolti su una grande parete, dialoga con oggetti, lettere, cataloghi di mostre, riviste, articoli di giornale e documenti d’archivio provenienti dai fondi documentari della Galleria e della Fondazione esposti in quattro grandi tavoli; l’insieme propone al visitatore un ulteriore approfondimento della figura di Capogrossi in rapporto coi personaggi e gli eventi del suo tempo.

Tra i pittori d’oggi tu sei uno dei pochi che si preoccupano assai più della forma che del quadro; e si rendono conto che, per salvare la prima, può essere necessario e mette comunque conto di sacrificare il secondo (…) Perciò io penso che la tua posizione,  anche se qualcuno possa giudicarla ostinatamente appartata  e astrattamente contemplativa , sia generosa ed umana.(…) Fa sempre piacere ritrovare nella pittura di un amico le sue più autentiche qualità morali; e di questo, non d’altro.

Giulio Carlo Argan, in scrittura privata a Giuseppe Capogrossi dopo aver visitato la sua personale alla Biennale di Venezia del 1954

Giuseppe Capogrossi, Superficie 553 (1965), Superficie 323 (1959), Superficie 274 (1954).

  • Capogrossi. Dietro le quinte
    A cura di Francesca Romana Morelli.

Dal 20.09 al 06.11.2022 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Viale delle Belle Arti 131, 00197 Roma
Dal martedì alla domenica dalle 9 alle 19, ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura.
Ogni giovedì alle 11 visite e approfondimenti dedicati alla mostra, condotti dalle mediatrici e dai mediatori culturali della Galleria, gratuiti e compresi nel biglietto di ingresso al museo. Ghella e UniCredit sono official sponsor della mostra.

La Galleria garantisce un’accessibilità totale alle persone con disabilità grazie all’ausilio di ascensori, pedane elevatrici e servizi adeguati.
Sono a disposizione del pubblico due carrozzine anche per uso in autonomia.

Foto: Paolo Olivi @PaoloFM. Per gentile concessione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.