A quasi settant’anni dalla Mostra di disegni allestita a Valle Giulia da Palma Bucarelli nella primavera del 1955, le opere di Domenico Morelli ritornano nelle sale della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea come protagoniste di un nuovo progetto espositivo.

La prima mostra che la Galleria aveva dedicato al pittore napoletano si era tenuta a Roma molti anni prima, a soli sei anni dalla sua scomparsa, allestita nella prima sede del museo, in quello che oggi chiamiamo Palazzo delle Esposizioni.

La data stessa dell’inaugurazione – 9 dicembre 1907 – era simbolica, perché cadeva a tre anni esatti dalla seduta della Camera dei Deputati che aveva dato avvio al processo di acquisizione da parte dello Stato del fondo costituito da opere grafiche, cartoni, bozzetti e dipinti rimasti nell’atelier di Morelli alla sua morte.

Il nome di Domenico Morelli era già presente fra quelli degli artisti contemporanei ai quali lo Stato Italiano guardava nella costituzione di un nucleo di opere da destinare alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
Erano state infatti già acquisite sei tele dell’artista che, ad esclusione della sua produzione ritrattistica, consentivano di farsi un’idea del suo ventaglio di interessi artistici: dal romanticismo storico del Tasso che legge ad Eleonora d’Este la Gerusalemme Liberata e del Conte Lara, le cui fonti attingevano alla letteratura anche europea, ai soggetti religiosi reinterpretati in chiave di intimismo simbolista, come il Cristo nel deserto e Gesù che veglia gli apostoli.

Chiara Stefani, Curatrice.

In quell’occasione la selezione venne curata da Francesco Jacovacci, allora direttore della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, che la allestì in quattro sale del Palazzo delle Belle Arti in Via Nazionale. Il poco spazio a disposizione rese però difficile descrivere compiutamente quello che Jacovacci definiva nella prefazione del catalogo della mostra il graduale processo delle varie elaborazioni che nella mente del Maestro andava seguendo la sua vocazione pittorica.

Anche per questo motivo, la scelta di riportare Domenico Morelli (Napoli, 1823–1901) nelle sale della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea costituisce un’occasione di approfondimento e riscoperta. È proprio a partire dalle opere del Fondo conservato dal museo romano che Chiara Stefani e Luisa Martorelli hanno dato vita alla mostra Domenico Morelli. Immaginare cose non viste, aperta al pubblico fino al 29 gennaio 2023.

A un’ampia selezione dal Fondo Morelli, già molto ricco e eterogeneo, la mostra accosta altre opere, provenienti sia da istituzioni pubbliche che da collezioni private, mentre una serie di sculture in marmo, bronzo e terracotta di artisti dell’epoca, alcune di dimensioni pari al vero, e diverse opere su tela di altri autori sono poste in relazione con i dipinti e le soluzioni compositive di Morelli per renderne evidente l’influenza.

Il titolo riprende una citazione del pittore Eduardo Dalbono, che ricordando Morelli poco dopo la sua morte si riferiva al dipinto Le tentazioni di Sant’Antonio come esempio magistrale delle facoltà intuitive e divinatrici dell’artista.

Morelli era come il vero artista deve essere, cioè egli sapeva quello che non sapeva, e vedeva ciò che non aveva mai visto.

Eduardo Dalbono

A essere immaginati e non visti da Morelli sono personaggi della storia, della letteratura, della religione e del mito.
Ma lo è anche l’Oriente, una parte del mondo che stava entrando prepotentemente nell’immaginario del tempo e che l’artista, a differenza di altri contemporanei, non aveva mai visitato, nonostante l’interesse che quei luoghi suscitavano in lui, e che lo aveva spinto a inserirli più volte nei suoi dipinti e menzionarli nei suoi scritti.

Morelli infatti aveva scelto di ridimensionare l’Oriente a misura del proprio atelier, nella convinzione che la distanza geografica potesse essere annullata evocando nelle opere le atmosfere multietniche della sua città natale, le tradizioni culturali sedimentate a Napoli attraverso il contatto con l’antico Impero Ottomano, e i paesaggi del Meridione, che ben conosceva.

Lo porto dentro di me: ne ho il cuore e la mente pieni: Se chiudo gli occhi, io penso, sento, vivo in Oriente. I suoi usi, costumanze, riti appresi con letture lunghe e difficili, mi balzano dinanzi come rievocati, per incanto […] il paesaggio, l’aria, il colore l’ho studiata in quelli che l’hanno studiata laggiù, e l’ho studiata qui dove tutto ricorda l’Oriente, qui dove esso si sente, s’intuisce.
Andate a Pozzuoli, a Cura, lungo le nostre rive incantevoli, andate in Calabria e, dappertutto, nelle pianure, nel mare, nel cielo, negli abitanti sentite l’Oriente[..].

Conversando con Domenico Morelli, IL PICCOLO, 20/8/1889.

Domenico Morelli. Immaginare cose non viste è una delle mostre monografiche più ampie tra quelle recenti della Galleria Nazionale, e occupa per intero l’Ala Gramsci del museo.
Nelle sale al livello inferiore sono esposti i dipinti di maggiore dimensione e le sculture; in quelle al livello superiore sono allestiti i bozzetti, un grande cartone a tecnica mista, un’ampia selezione di opere su carta scelte tra gli oltre 800 fogli del Fondo, e un corpus di piccole tavolette a olio su legno con dipinti di paesaggio, realizzati da Morelli nella costa a sud di Napoli, che hanno trovato una collocazione ideale nello spazio del ballatoio.

La diversa scala delle sale – ampie e monumentali quelle a tutta altezza, più raccolte quelle al di sopra e al di sotto dei soppalchi – oltre a accordarsi con la dimensione delle opere esposte, permette di indagare attraverso un percorso organico la varietà dello stile di Morelli, che mantenendo una forte coerenza e una immediata riconoscibilità si trasforma profondamente a seconda del supporto e della tecnica di esecuzione.

La gestazione dei dipinti di Domenico Morelli è un processo di continuo ripensamento delle soluzioni compositive ideate dopo un attento studio sul vero, i cui singoli elementi vengono analizzati più volte, prima di raggiungere la versione ritenuta ottimale. Mentre il ventaglio di tecniche impiegate dall’artista su carta spazia dall’uso di grafite, carboncino, sanguigna e pastello – accompagnati in vari casi da lumeggiature a biacca, nonché dall’inchiostro bruno, spesso abbondantemente acquarellato – all’acquerello e alla tempera in varie tonalità, talvolta su tracce di matita, i bozzetti annullano nel colore l’attento studio grafico di ogni foglio ad essi preparatorio.

La struttura della mostra mette così il visitatore in condizione di porre a confronto i dipinti con i corrispondenti schizzi preparatori (spesso composti da serie di fogli differenti, ciascuno dedicato allo studio di un particolare personaggio o di soluzioni alternative della composizione) e i bozzetti a piccola scala (particolarmente affascinanti, e portatori di informazioni di cui le tele a dimensione reale, in più casi incomplete, talvolta sono prive).

Il percorso di visita di Immaginare cose non viste si apre con il Ritratto di Domenico Morelli scolpito da Mario Rutelli intorno al 1893, accostato all’Autoritratto del pittore dipinto tra il 1880 e il 1885.
Si prosegue con la sala principale, dove dipinti e sculture gravitano intorno a quella che si può considerare l’opera simbolo di Morelli alla Galleria Nazionale, Le tentazioni di Sant’Antonio del 1878, esposta abitualmente all’interno di Time Is Out Of Joint e in questa inedita collocazione ancora più godibile.

Il pubblico più affezionato noterà invece l’assenza dello Studio di figura del 1824, spesso presente nelle sale del museo e che nel 2019 è stato l’immagine simbolo della mostra Ragione e Sentimento: l’opera infatti fa parte della selezione di capolavori della Galleria Nazionale attualmente esposti in due mostre temporanee a Pechino e Shanghai. 

L’ampio volume della sala è punteggiato da quattro sculture: La sposa dei Cantici di Alfonso Balzico (1865–1870), il Nudo di donna di Domenico Trentacoste (1910) e Ondina di Giuseppe Renda (1898) provengono tutte dalla collezione della Galleria Nazionale, e l’ultima rientra negli spazi espositivi dopo aver trascorso un lungo periodo nelle sale del Caffé delle Arti. La quarta, La schiava di Giacomo Ginotti (1877 ca.), è un presenza importante perché una volta concluso questo prestito rientrerà alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino per non spostarsi più per lungo tempo.

Figure femminili seducenti e misteriose, le quattro opere stabiliscono tra di loro una tensione palpabile, quasi un campo elettrico che il visitatore si troverà a attraversare.
Altrettanto forte è la relazione instaurata coi dipinti alle pareti: oltre alle Tentazioni di Morelli, a essere particolarmente coinvolte sono le due varianti dell’opera di Dalbono La leggenda delle sirene, qui esposte insieme per la prima volta: alla prima versione del 1871 proveniente dall’Accademia di Belle Arti di Napoli si accosta la replica, di due anni più tarda e oggi in collezione privata, caratterizzata da una differente esecuzione dello sfondo.

Al piano superiore Il trovatore tra le monache torna a essere esposto al pubblico per la prima volta dall’inizio del secolo scorso; l’opera, incompiuta, è stata oggetto di un apposito intervento conservativo da parte degli allievi dell’Istituto Centrale per il Restauro. Per il suo restauro sono state determinanti le informazioni ricavate dallo studio del bozzetto, in particolare per ciò che riguarda l’uso del colore. Le due opere, insieme a numerosi schizzi preparatori, sono oggi esposte nella stessa sala.

Capolavori tra i capolavori, le preziose cornici dei dipinti mostrano la varietà delle tecniche impiegate: intagliate e decorate, a foglia di oro zecchino e argento meccato, utilizzando in un caso particolare anche un materiale non tradizionale come il tessuto, applicato sulla superficie lignea. Anche in questo caso studio, ricerca, conservazione, restauro e preparazione delle opere all’esposizione procedono in sincrono.

Allo struggente Mater Purissima (1879–1880), anch’esso nella collezione della Galleria Nazionale, è affidato il compito di fare da tramite tra lo spazio della mostra e il resto del museo.
Come un magnete posto al termine del cannocchiale prospettico costruito dal susseguirsi delle sale del museo, il dipinto attira il pubblico anche da grande distanza, invitandolo ad avvicinarsi per essere introdotto al mondo immaginato e non visto di Domenico Morelli.

L’Oriente per me è come un rifugio dalla persecuzione del calcolo che ci circonda. Sarà strano, ma io ho bisogno di pensare a quelli uomini, e come pittore mi pare di sfuggire alle leziosità del gusto ricercato alla moda. Ora farei il Maometto. Ho studiato il Corano, e la vita che ha scritto Irving, ho letto certi viaggi, ho visto alcune fotografie, e farei una preghiera. Mi lusingo forse, ma una certa linea e certo colore mi pare che può esprimere la sintesi di quella razza. La razza semitica mi pare la prima fra quelle germogliate sulla terra. In faccia alla negazione della scienza sperimentale, vorrei opporre tutto un popolo che s’inchina e prega e non vede, e non cerca di vedere, e sente in sé l’infinito e adora la causa invisibile.

Domenico Morelli, Lettera a Pasquale Villari, 1872.

  • Domenico Morelli. Immaginare cose non viste
    A cura di Chiara Stefani con Luisa Martorelli.

Dal 21.11.2022 al 29.01.2023 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Viale delle Belle Arti 131, 00197 Roma
Dal martedì alla domenica dalle 9 alle 19, ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura.

La Galleria garantisce un’accessibilità totale alle persone con disabilità grazie all’ausilio di ascensori, pedane elevatrici e servizi adeguati.
Sono a disposizione del pubblico due carrozzine anche per uso in autonomia.

Foto: Paolo Olivi @PaoloFM. Per gentile concessione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.