Al Palazzo delle Esposizioni e alla Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale una nuova mostra documenta il panorama della videoarte italiana dalla fine degli anni ’60 ai primi decenni del nuovo secolo. Il video rende felici. Videoarte in Italia è un progetto unitario che si sviluppa in due sedi espositive distinte, una scelta che rispecchia la molteplicità di soggetti istituzionali – nazionali e locali – che promuovono, sostengono e patrocinano l’iniziativa.

La Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e l’Azienda Speciale Palaexpo collaborano con la Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura per una mostra che si inserisce nel filone di iniziative di valorizzazione della videoarte e del film d’artista che quest’ultima promuove e sostiene sin dal 2019.

A curare la mostra è Valentina Valentini, studiosa delle interferenze fra teatro, arte e nuovi media e docente di arti elettroniche e digitali presso il Dipartimento di Pianificazione, Design, Tecnologie dell’Architettura dell’Università La Sapienza di Roma.

La mostra è uno scavo in archivi poco conosciuti in un patrimonio che è disperso e che sarebbe bene – e questa mostra ne mette in evidenza la necessità – preservare e conservare.

valentina valentini, curatrice

Il video rende felici costituisce la prima ricognizione mai realizzata in Italia sulla produzione di videoarte e sul cinema d’artista, due sperimentazioni tra le più interessanti della ricerca audiovisiva contemporanea.
La mostra ne riflette la complessità attraverso una pluralità di formati, dai video monocanale ai lavori multimediali e interattivi, fino agli ambienti immersivi e alla scultura cinetica. Il progetto si compone di 20 installazioni, alle quali si aggiungono oltre 360 opere video e filmiche, e vede coinvolti oltre 100 artiste e artisti di diverse generazioni.

Tra le opere esposte al Palazzo delle Esposizioni: Giovanotti Mondani Meccanici, Computer comics (1984); Donato Piccolo, Video machine mobile (2022); Elisa Giardina Papa, Technologies of care (2016); Quayola, Transient #E_001-04_4ch (2020); Danilo Correale, No more sleep no more (2016); Michele Sambin, Il tempo consuma (1979/2021)

Né solo tecnica né solo genere, la videoarte può forse essere considerata l’una e l’altro, essendo dotata sia di specificità espressiva sia di trasversalità stilistica, se non addirittura una meta-tecnica e un meta-genere, perché fa da ponte fra diversi media e diversi linguaggi artistici.

Maria Vittoria Marini Clarelli, Sovrintendente Capitolina ai Beni Culturali

Le opere esposte al Palazzo delle Esposizioni mettono in luce le trasformazioni di cui la video installazione è stata protagonista a partire dalla fine degli anni ’60, in dialogo con lo spazio espositivo che la ospita e con le potenzialità offerte da dispositivi tecnologici sempre più raffinati.

Le installazioni sono rappresentative dell’evoluzione dei linguaggi, delle tecnologie e dei formati, descrivendo un percorso che è allo stesso tempo cronologico e tecnologico: dal circuito chiuso degli anni ’70 all’intelligenza artificiale, dall’analogico al digitale, dalle video-sculture ai multischermi, dal video-wall agli ambienti sensibili.

Al Palazzo delle Esposizioni: Studio Azzurro, Coro (1995)

Il video rende felici non è soltanto la raccolta di opere di artisti, alcuni dei quali notissimi, che, in diverse epoche fra gli anni ’60 e oggi, hanno scelto il linguaggio del video e la modalità espositiva della video-installazione.
L’impianto complessivamente cronologico della mostra offre infatti l’evidenza di un incontro fra le poetiche dei singoli artisti e una vera e propria storia sociale della comunicazione dell’ultimo mezzo secolo.

Cesare Maria Pietroiusti, Presidente dell’Azienda Speciale Palaexpo

Oltre alle opere installative sono esposti appunti, schizzi e bozzetti che documentano il processo creativo e al tempo stesso contribuiscono a cadenzare il percorso di visita della mostra, che è libero e privo di un itinerario predeterminato: costituendosi come momenti di anticipazione, di pausa o di riflessione, questi disegni preparatori si innestano tra gli stimoli di una installazione multimediale e quelli dell’ambiente successivo.

Schizzi di studio di Marinella Pirelli e Studio Azzurro

Le installazioni in mostra offrono un percorso diversificato adatto sia a adulti che a bambini; la mostra ha un aspetto sia ludico che contemplativo e può essere fruita in modi diversi.

valentina Valentini, curatrice


La selezione di opere alla Galleria d’Arte Moderna mostra invece come in Italia il video sia stato declinato in contesti disciplinari differenti – forme embrionali di expanded cinema, eventi performativi trasmessi a circuito chiuso, video-sculture – e come abbia generato interferenze con la danza, il teatro, la televisione, l’architettura e il design.

Elemento caratteristico dell’esposizione nella sede di Via Francesco Crispi è una serie di monitor dislocati in vari ambienti che consentono di fruire – anche in audio, attraverso delle cuffie – di alcuni video monocanale provenienti dai centri di produzione della videoarte attivi in Italia dai primi anni ‘70, che si caratterizzano per una forte vocazione transnazionale. Una selezione è inoltre dedicata a lavori provenienti dai festival radicati in Italia a partire dagli anni ‘80, che hanno svolto un’importante funzione di ricerca e promozione.

Tra le opere esposte alla Galleria d’Arte Moderna: MASBEDO, Blind mirrors (2019); Umberto Bignardi, Fantavisore (1964/2019); Fabrizio Plessi, Water (1976)

In più di un caso le opere sorprendono per la propria datazione, molto meno recente di quanto si è portati immaginare: lavori attualissimi, ma ideati decine di anni fa, a volte con tecniche ancora tradizionali o prima dell’avvento del digitale, evidenziano quanto il video si sia pienamente inserito nella storia dell’arte e quanto l’Italia sia stata promotrice di progetti pionieristici in questo campo, diventando un punto di riferimento per la sperimentazione internazionale.

La mostra descrive efficacemente un itinerario che parte dalla fine degli anni ’60, con il 16mm di Film ambiente (Marinella Pirelli, 1968-1969/2004), e si conclude oggi con l’intelligenza artificiale di Video machine mobile (Donato Piccolo, 2022) passando per i frammenti di D’un cadre à l’autre (Daniel Buren, 1974/2022), per l’ambiente sensibile di Coro (Studio Azzurro, 1995) e per l’ibridazione in 4K di pittura impressionista e sistemi generativi non convenzionali della serie Transient (Quayola, 2020).

Al Palazzo delle Esposizioni: Marinella Pirelli, Film ambiente (1968-1969/2004)

Al suo apparire il video ha svegliato tante utopie: nei primi anni ’70 l’utopia dell’indipendenza dai mass media, l’utopia della sperimentazione dell’immagine in movimento e l’utopia della partecipazione, del mettersi in immagine di gruppi sociali, di studenti, di movimenti che potevano così avere accesso a una dimensione pubblica e indipendente.

valentina valentini, curatrice

Un aspetto meno riuscito della mostra è invece la scelta di allestirla in una doppia sede: se è comprensibile dal punto di vista curatoriale, ha invece delle ricadute negative per l’accessibilità e per la qualità dell’esperienza di visita che l’organizzatore non è riuscito a mitigare.

Prima di tutto, manca un biglietto unico per le due sedi espositive: esistono una scontistica reciproca, riduzioni speciali, gratuità, ma un biglietto cumulativo resta fondamentale se si vuole portare il maggior numero possibile di persone a visitare entrambe le sezioni di una mostra, quando sono ospitate in luoghi differenti.

Il video rende felici si presenta sempre come un’unica grande mostra, due luoghi: nella comunicazione istituzionale, nella campagna pubblicitaria, nel progetto grafico declinato in due colori riferiti alle due sedi, persino nei dépliant illustrativi che sono impaginati a double face, con la programmazione del Palazzo delle Esposizioni da un lato e quella della Galleria d’Arte Moderna dall’altro. Invece, in concreto, non solo è necessario acquistare due biglietti separati per visitare la mostra nella sua interezza, ma non è neppure possibile acquistarli contestualmente: due sedi, due biglietterie.

Daniele Puppi, Fatica n. 26 (2004)

Si possono immaginare alcune delle difficoltà gestionali e operative che hanno portato a questa soluzione imperfetta: le due sedi fanno riferimento a istituzioni differenti; ciascuna ha un suo programma di membership che garantisce la gratuità ai propri iscritti; nessuna delle due ospita unicamente questa mostra durante il suo periodo di programmazione, perché entrambe prevedono la compresenza di altri eventi: in altre parole ciascuna sede ha il suo biglietto unico che permette l’accesso a tutte le sue iniziative in corso, ma non esiste, almeno al momento, un biglietto cumulativo per visitare Il video rende felici per intero.

Al Palazzo delle Esposizioni: Mario Convertino, * end (1987/2020)

Dal punto di vista dell’accessibilità, il colle del Quirinale sembra fatto apposta per separare le due sedi espositive, invece che unirle. È vero che il Palazzo delle Esposizioni e la Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale sono distanti in linea d’aria meno di un km – nove minuti a piedi, secondo le mappe – ma questo avviene solo se si è così temerari da attraversare – da pedoni – il traforo Umberto I di Via Milano (e se si ha la fortuna di poter camminare senza difficoltà): i percorsi alternativi sono invece molto meno lineari.
Viene spontaneo chiedersi se non sarebbe stato possibile concentrare tutti contenuti della mostra nella sede più grande, e colpisce il fatto che, come per il biglietto di ingresso, anche la soluzione di questa criticità resta affidata alla capacità – se non alla buona volontà – dei visitatori.

Visitata nei primi giorni di apertura, la sezione di mostra ospitata a Via Nazionale trasmette poi una certa sensazione di incompiutezza e precarietà: delle barriere tendi-nastro impediscono la salita a piedi al livello superiore del palazzo progettato da Pio Piacentini, al momento chiuso al pubblico, e l’uso degli ascensori interni; lo spazio al di là della rotonda è percorribile (anche se completamente vuoto), ma serve solo per raggiungere i servizi igienici.

Una grande riproduzione del manifesto della mostra è posizionato al centro, di fronte all’ingresso principale: sembra proprio invitarvi a entrare, suggerendo che qualcosa si trovi al di là di un portale; in realtà vi lascerà soli in compagnia di un cortese custode che vi spiegherà che no, se non avete bisogno di usare i bagni non ci sono altri motivi per essere lì.

Probabilmente tutto apparirà differente tra due settimane, una volta inaugurata anche World Press Photo, la mostra fotografica che torna negli spazi di Via Nazionale dopo il trasloco temporaneo in quelli dell’ex-Mattatoio per l’edizione 2021. Ma se per i primi giorni di apertura questo sarà l’assetto dell’esposizione – la prima impressione a volte è davvero quella che conta – si sarebbe dovuto fare di più.

Le installazioni non sono ancora un formato codificato diventato classico nel nostro paese, quindi presentano molti aspetti che sono inediti e mettono lo spettatore a confronto con una particolarità di fruizione che di volta in volta cambia e di volta in volta va sperimentata.

Valentina valentini, curatrice


Occorre un vero biglietto unico, ma sarebbe utile anche migliorare il sistema di pannelli di sala aggiungendo informazioni che segnalino al visitatore, in qualsiasi sede si trovi, che c’è ancora di più da vedere nell’altra, e che sarebbe un peccato perderlo.

Non sorprendetevi perciò se andando a cercare quella particolare opera che vi ha colpito in foto su un articolo o in una recensione vi renderete conto di essere nel posto sbagliato, perché si trova dall’altra parte: in fin dei conti ogni caccia al tesoro ha bisogno di una mappa, e già il semplice gesto di consegnare in mano il (doppio) programma della mostra al momento del controllo del biglietto, invece di confidare nel fatto che il visitatore lo trovi da solo, aiuterebbe molto.

Alla Galleria d’Arte Moderna: Daniel Buren, D’un cadre à l’autre : 5 images/fragments d’un modèle retransmis directement à l’échelle 1/1 (1974/2022)

Un sito web dedicato sarebbe stata una buona idea, perché al momento anche le informazioni sono divise a metà, distribuite sui due portali istituzionali del Palazzo e della Galleria; questo rende inevitabili delle sovrapposizioni, ma genera soprattutto un po’ di confusione perché ogni sede tende a porre in evidenza temi, opere e contenuti di propria pertinenza e lo fa con il proprio formato grafico (i due siti sono radicalmente differenti), a scapito di un quadro generale che ancora una volta sta all’utente ricomporre.

La speranza è che per superare questi limiti venga in aiuto – oltre alla bella stagione che rende più piacevole spostarsi a piedi – il programma davvero ricco di iniziative che si appresta a rendere la mostra viva (e vissuta) nei prossimi mesi: giornate di studio, tavole rotonde, proiezioni e performance dal vivo, visite guidate, laboratori didattici, e tredici rassegne di video e film d’artista, tra personali e miscellanee. Con l’auspicio che sia davvero come spiega Nam June Paik in conversazione con Bill Viola: il video è come il sesso, lo possono fare tutti, ecco perché rende felici.

Il fatto di riuscire a raggiungere più pubblici, di età diverse, di formazione diversa ha a che fare con una caratteristica del video: che lo possono fare un po’ tutti, soprattutto adesso, e come diceva Nam June Paik, forse davvero rende felici farlo.

Laura Marcolini, Studio Azzurro
  • Il video rende felici. Videoarte in Italia.
    A cura di Valentina Valentini.

Dal 12.04 al 04.09.2022

Al Palazzo delle Esposizioni
Via Nazionale 194, 00184 Roma
Domenica, martedì, mercoledì e giovedì dalle ore 10.00 alle 20.00, venerdì e sabato dalle 10.00 alle 22.30. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura.

Alla Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale
Via Francesco Crispi 24, 00187 Roma
Dal martedì alla domenica dalle ore 10.00 alle 18.30. Ultimo ingresso mezz’ora prima della chiusura.

Foto: Paolo Olivi @PaoloFM. Per gentile concessione degli artisti, della Direzione Generale Creatività Contemporanea – Ministero della Cultura, di Roma Culture – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dell’Azienda Speciale Palaexpo.