La Sala Gian Ferrari è uno degli spazi espositivi del MAXXI, il museo per le arti del XXI secolo di Roma; in origine parte terminale della lunga Galleria 2, con la riorganizzazione operata nel 2017 l’ambiente è stato reso indipendente e dedicato alla memoria di Claudia Gian Ferrari, la gallerista e storica dell’arte scomparsa nel 2010, che aveva donato al museo un’importante selezione di opere della sua collezione personale.


Lo spazio della sala non è fisicamente separato dal resto della Galleria: si trova al di là del grande volume in cemento armato dell’ascensore per la movimentazione delle opere d’arte all’interno del museo, cosa che lo rende in qualche modo intimo e delimitato senza bisogno di far ricorso a partizioni fisiche; è inoltre collegato da una lunga scala con la Galleria 1, quella al piano terreno che ospita gli allestimenti della collezione permanente, cosa che lo rende uno spazio da attraversare.

Negli ultimi anni la Sala ha trovato la sua vocazione come sede di focus tematici e di approfondimenti sugli artisti in collezione. Tra questi troviamo Nature, il progetto col quale il MAXXI invita i progettisti a ideare un’installazione site-specific che rappresenti una sintesi della propria ricerca architettonica, come se fosse un autoritratto tridimensionale: Mario Botta è il protagonista della sua settima edizione.


In quella che nel frattempo sembra aver preso il nome di Galleria Gian Ferrari è esposta una selezione di progetti scelti unicamente tra le opere realizzate dell’architetto svizzero, che spiega personalmente le ragioni di questa scelta.

Ho selezionato le opere che hanno trovato attuazione, nella convinzione che il costruito, al di là dell’idea dell’architetto, risulti infinitamente più ricco e testimoni lo spirito della comunità e della committenza interpretando il tempo del vivere collettivo.

Mario Botta, Architetto

Il tema della mostra – Sacro e Profano – è stato individuato di concerto dall’autore e dai curatori – Margherita Guccione e Pippo Ciorra – e si rispecchia felicemente nei progetti esposti, distinti tra luoghi di culto e spazi dedicati al vivere civile. A comporli insieme con una sintesi molto potente e efficace è il medium tipico utilizzato da Mario Botta per la rappresentazione dei propri lavori.

Ciascuno dei grandi interpreti dell’architettura contemporanea ha messo a punto un linguaggio di presentazione che rende perfettamente identificabili i propri progetti: nelle tele suprematiste riconosciamo la mano di Zaha Hadid, negli schizzi astratti quella di Frank Gehry; le sezioni tridimensionali su fondo blueprint sono caratteristiche di Renzo Piano, i modelli tridimensionali concettuali lo sono di OMA.

Per Mario Botta la forma di rappresentazione che rende un suo progetto immediatamente riconoscibile è il modello in legno: ed è questo il protagonista assoluto della nuova mostra.

L’architettura di Mario Botta è una trama tessuta dal filo visionario della natura umana e della dimensione sociale contemporanea. Il rapporto con il contesto storico, la dialettica aperta con il panorama urbano, la consonanza con il paesaggio, la solidità e la nitidezza dei materiali e degli spazi, tutti gli elementi essenziali, le conferiscono un’originalità e una forza di attrazione che vanno oltre la mera destinazione di edificio pubblico o privato, di luogo della meditazione o della conoscenza, di tempio dello spirito o delle arti.

Giovanna Melandri, presidente della Fondazione MAXXI

Nell’allestimento denso e affollato immaginato dallo studio Botta la distinzione tra Sacro e Profano diventa lo spunto per una riflessione sul senso di sacralità insito nell’architettura: luce e ombra, gravità e leggerezza, trasparenza e materia, percorsi e soglie si ritrovano in oggetti e modelli a varie scale, tutti in legno: dai prototipi di vasi – quasi delle sculture astratte – alla riproduzione in scala 1:2 dell’abside della chiesa di Mogno, fino al grande padiglione-scultura posto al centro della sala e costruito utilizzando legni pregiati e profumati, lavorati con tecnica artigianale.

A rappresentare il Sacro troviamo edifici di culto realizzati da Botta tra il 1986 e il 2022: la Chiesa di San Giovanni Battista a Mogno (Svizzera, 1986-1996), la Cattedrale della Resurrezione a Évry (Francia, 1988-1995), la Cappella di Santa Maria degli Angeli sul Monte Tamaro (Svizzera, 1990-1996), la Sinagoga Cymbalista e il Centro dell’eredità ebraica di Tel Aviv (Israele, 1996-1998), oltre ai due progetti italiani della Chiesa del Santo Volto di Torino (2001-2006) e quello, appena completato, della Chiesa di San Rocco a Sambuceto, alla porte di Pescara (2006-2022).

Tutto il percorso professionale di Mario Botta ci racconta la sua consapevolezza della sacralità dell’architettura. Nella mostra del MAXXI, attraverso la sapiente presentazione di alcune delle tante opere realizzate si ritrovano tutti i valori del suo modus operandi: l’essenza del progettare, la memoria della materia, il rispetto del contesto, l’espressione della collettività, la durata nel tempo.
Un paesaggio potente fatto da grandi modelli lignei di varie dimensioni è quello che Mario Botta ha disegnato per il MAXXI, in un efficace corpo a corpo con gli spazi di Zaha Hadid.

Margherita Guccione, curatrice

Il tema del Profano è rappresentato invece da quattro lavori: gli edifici museali del MART di Rovereto (1988-2002) e del Bechtler Museum of Modern Art di Charlotte (South Carolina, 2000-2009), che forse sono altrettanto sacri delle architetture religiose di Botta, insieme alla struttura turistica del Fiore di Pietra sul Monte Generoso (2013-2017) e al nuovo Centro termale Fortyseven di Baden (2009-2021), entrambi costruiti in Svizzera.

Sulla grande parete inclinata al fondo della sala il racconto dell’universo progettuale di Botta è completato da Anatolia, un grande tappeto-arazzo realizzato da Atelier Moret su progetto di Cleto Munari dove su un fondo azzurro sono tessute le planimetrie di alcuni progetti del maestro svizzero. La mostra si avvale anche di una serie di schizzi originali e fotografie, che dalle pareti fanno eco ai modelli delle opere corrispondenti, e di un film documentario di Francesca Molteni, prodotto per l’occasione, ricco di voci, testimonianze e commenti di persone del mondo della cultura vicine a Botta e al suo lavoro.

Botta ha attraversato quasi sessant’anni di architettura applicando ai suoi edifici una coerenza espressiva di straordinaria efficacia, nutrita – tra l’altro – da una consapevolezza estrema dell’uso dei materiali, delle loro proprietà, della loro consistenza e potenzialità costruttiva ed estetica.

Pippo Ciorra, curatore

La vista ravvicinata di questi modelli, che esaltano la poetica dell’architetto e il suo uso della luce naturale, è mozzafiato. Quelli di Botta non sono plastici di studio, sono quasi delle miniature delle opere costruite, riprodotte nei minimi dettagli.
Nell’allestimento della mostra, con le basi pensate come estrusioni della pianta, diventano vere e proprie sculture.

La più emozionante è probabilmente la miniatura del suo San Carlino, l’intervento effimero di ricostruzione al vero dello spaccato della chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane realizzato da Botta sul lago di Lugano nel 1999, per il quarto centenario della nascita di Francesco Borromini.

Se nei modelli di Botta il legno è utilizzato per alludere al colore e alla trama dei materiali utilizzati nei suoi edifici, dal mattone alla pietra, nel San Carlino le tavole sono il progetto costruito: montate come curve di livello, quasi a anticipare la tecnologia della stampa 3D, le assi lignee costituiscono il linguaggio contemporaneo scelto da Botta per rappresentare col necessario grado di astrazione la modernità eversiva del maestro Barocco.

Mario Botta. Sacro e Profano è una mostra focus con uno spazio a disposizione limitato, ma nonostante questo la sua figura di progettista riesce a emergere nitidamente come quella di uno degli ultimi grandi maestri dell’architettura moderna.
Un classico, nel senso più nobile del termine, più che un contemporaneo, con un linguaggio che può non essere apprezzato da tutti, ma il cui amore per il mestiere dell’architetto non può che essere condiviso.

Costruire è di per sé un atto sacro, è un’azione che trasforma una condizione di natura in una condizione di cultura; la storia dell’architettura è la storia di queste trasformazioni. Il bisogno che spinge l’uomo a confrontarsi con la dimensione dell’infinito è una necessità primordiale nella ricerca della bellezza che sempre ha accompagnato l’uomo nella costruzione del proprio spazio di vita

Mario Botta, Architetto
  • Nature
    Mario Botta. Sacro e Profano.

    A cura di Margherita Guccione e Pippo Ciorra.
    Progetto di allestimento e coordinamento tecnico: Studio Mario Botta architetti, con Francesco Meroni, Marco Mornata, Alberto Gullà.

Dall’8.4 al 4.09.2022 al MAXXI
Via Guido Reni 4A, 00196 Roma
Dal martedì alla domenica dalle 11 alle 19. La biglietteria è aperta fino a un’ora prima della chiusura del museo.

Foto: Paolo Olivi @PaoloFM. Per gentile concessione dell’Archivio Mario Botta.